Il diritto all’installazione di impianti radiotelevisivi è ora per la prima volta esplicitamente regolato, nella normativa condominiale, dal 1122-bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012. In passato, si erano avute a varie riprese (dalla legge n. 554/1940 a tutti i provvedimenti successivi, poi assorbiti nel D.Lgs. 259/2003) disposizioni di carattere generale che confermavano questa facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza come diritto soggettivo perfetto di natura personale (Cass. 12295/03, ma già Cass. S.U. 3728/76) al quale vien data la base costituzionale (art. 21) del diritto all’informazione (Cass. 7418/83). Il termine “radiodiffusione”, usato dalle precedenti leggi, si riteneva comprensivo anche della diffusione televisiva (v. già Cass. 2862 /94 e poi D.M. delle comunicazioni 11/11/05). Tale diritto compete, oltre che al condomino, anche al conduttore (Cass. 1176/86 e D.Lgs. 259/03 che parla all’art. 91 di “richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”).
Le antenne si possono collocare su qualsiasi parte dell’immobile, anche altrui, purché rispettino le seguenti condizioni poste dal complesso delle varie norme interessate:
– recare il minor pregiudizio alle parti comuni ed alle proprietà private;
– preservare in ogni caso il decoro architettonico, la stabilità e sicurezza dell’edificio;
– non pregiudicare il libero uso della proprietà altrui secondo la sua destinazione;
– non impedire agli altri condomini di fare parimenti uso del bene comune secondo il loro diritto;
– non alterare la destinazione di tale bene.
La possibilità di un “minimo pregiudizio” costituisce una deroga al principio generale di evitare ogni danno alle parti comuni (v. ad es. 1122) ed ai beni privati (209 D.Lgs. 259/03). L’installazione non richiede alcuna autorizzazione e può avvenire sulle parti private altrui solo nell’impossibilità di utilizzare spazi propri o di avvalersi di un’antenna comune (Cass. 9427/09 e Cass. 9393/05). I proprietari delle varie unità immobiliari devono consentire l’accesso per la progettazione e l’esecuzione delle opere; gli stessi ed il condominio non possono opporsi nemmeno al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto (con i limiti di salvaguardia sopra indicati).
Il criterio generale di preventiva informazione dell’amministratore per ogni opera da eseguire nell’edificio (su beni propri o condominiali) si applica, per l’antenna, solo se occorre procedere a modifiche delle parti comuni. In tal caso scatta una particolare procedura che vede l’assemblea legittimata (con la maggioranza di 2/3 del valore edificio) ad imporre modalità “alternative” di esecuzione, cautele a salvaguardia della stabilità, sicurezza o decoro del fabbricato, nonché garanzie per eventuali danni. Naturalmente, in caso di disaccordo si arriverà all’intervento del giudice e dei periti. Si può, comunque, ritenere che l’amministratore debba procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria (e senza indugio) solo quando ciò si dimostri necessario od anche solo opportuno, secondo la comune esperienza, per il tipo e l’entità delle modifiche evidenziate dal contenuto specifico e dalle modalità di esecuzione che l’utente è obbligato ad indicare. L’amministratore può avvalersi del parere del consiglio di condominio, ma in definitiva la responsabilità per ogni valutazione rimane a carico dell’ assemblea.
L’antenna individuale, in quanto diritto autonomo ed insopprimibile, è indipendente dall’esistenza originaria o sopravvenuta della centrale condominiale, che viene prevista da altra norma (1120 c.c.) senza che fra le due situazioni esista gerarchia di sorta; ed ancor prima degli accennati sviluppi legislativi i giudici avevano sempre riconosciuto l’autonomia del diritto del singolo, dichiarando nulla la delibera che vieta l’antenna per il solo fatto dell’esistenza di un impianto centrale (Cass. 7825/90; Cass. 5399/85). Di conseguenza l’assemblea non può impedire l’installazione, né imporre la rimozione dell’antenna; ed a sua volta l’amministratore non potrebbe eseguire una delibera palesemente nulla (a pena anche di eventuali reati, come ad es. danneggiamento).
Le stesse caratteristiche del diritto, che ne escludono la natura “affievolita” (cioè di interesse legittimo), impediscono che le normative dei Comuni possano pregiudicarlo. In linea di massima gli enti territoriali possono incidere su luogo e modalità di posizionamento ma non sull’installazione, poiché il diritto è garantito da leggi dello Stato; mentre invece possono pretendere che le parabole siano accorpate. Gli aspetti che vedono il loro intervento sono essenzialmente due. Il primo riguarda la tutela del paesaggio, che ha un fondamento costituzionale nell’art. 9 Cost. La l. 249/1997 (c.d. ”legge Maccanico”) aveva imposto ai Comuni di emanare un regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici. Il perseguimento di un tale interesse pubblico e l’ineludibile tutela di un diritto individuale comporta la necessità di un bilanciamento fra le due situazioni protette, che si richiamano a norme di rango primario.
L’altro campo di intervento è quello del decoro architettonico, che la nuova disciplina impone di “preservare in ogni caso” (1122-bis). La perentorietà della disposizione porta a ritenere che la linea di tolleranza finora tendenzialmente adottata deve subire un’inversione di rotta perché, dopo la riforma, la tutela di questo bene viene a prevalere sul diritto all’antenna, trasformato in “anarchia” da un inarrestabile fenomeno di massa (relativo a parabole, climatizzatori, telefonia, ecc.) che ha modificato in qualche misura il comune senso dell’estetica e del decoro. In genere i regolamenti edilizi locali consentono solo antenne e parabole centralizzate sul tetto ovvero, in caso di impossibilità tecnica, antenne singole ridotte al minimo poste sempre sulla copertura e non sulla facciata.
Il problema è che non esiste una definizione legislativa del decoro architettonico e la sua valutazione deve essere perciò effettuata caso per caso, con un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (già Cass. 428/84 e da ultimo Cass. 20985/14). Secondo gli indirizzi giurisprudenziali, è vietata quell’opera che alteri le linee architettoniche del fabbricato o che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso. Bisogna aver riguardo sia all’intero edificio che a singole parti o elementi dello stesso dotati di sostanziale autonomia, ed alla consequenziale diminuzione del valore di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono (Cass. 53/14; Cass. 1286/10, ecc.). Per una parte della giurisprudenza è necessario tener conto dello stato dell’edificio al momento in cui l’innovazione viene posta in essere e dunque la lesività estetica non è rilevante se il decoro architettonico era già stato gravemente compromesso da altre precedenti opere sull’immobile di cui non sia stato preteso il ripristino (Cass. 1286/10; Cass. 26055/14); ma un tale indirizzo non è univoco.
Nelle due situazioni finora delineate il giudice, nel caso di evidente pregiudizio all’aspetto paesaggistico o al decoro architettonico, non si limiterà semplicemente a disporre la semplice eliminazione della parabola (e con essa del diritto all’informazione), ma adotterà una soluzione che consente la salvaguardia di entrambi i valori in gioco. Se non è possibile una diversa collocazione delle parabole non rimane che la formazione di gruppi di utenze ovvero, in ultima analisi, il collegamento con un impianto centralizzato (sempre che esista per quel tipo di servizio, cosa da escludere in genere per la ricezione satellitare, a maggior ragione se a pagamento). Abbiamo visto che quest’ultima via è stata seguita dalla giurisprudenza in un altro caso di diritti configgenti, quando si trattava di invadere la proprietà altrui.
Rimangono salve, in ogni caso, eventuali clausole “contrattuali” del regolamento condominiale, che possono condurre anche al sacrificio di un diritto individuale; mentre le altre, di natura regolamentare, possono intervenire solo sulle modalità di installazione.