La legge 220/2012 acconsente l’ingresso degli animali domestici in condominio, infatti l’art. 1138 del C.C. (così come modificato dalla legge di riforma) dispone che il regolamento condominiale non può vietare di possedere o detenere animali domestici.
L’accesso degli animali nel condominio, tuttavia, non è fuori da ogni regola. È comunque buona norma rispettare le disposizioni contenute nell’ordinanza del ministero della Salute, entrata in vigore il 23 marzo 2009, che prevede tra l’altro, l’obbligo, per i proprietari dell’animale, di mantenere pulita l’area di passeggio, di utilizzare il guinzaglio in ogni luogo e, nel caso di animali aggressivi, di applicare la museruola. È sempre prevista la responsabilità civile ex articolo 2052 del C.C e penale dei proprietari, in caso di danni o lesioni a persone, animali o cose nonché l’obbligo di stipulare, in caso di animali pericolosi, una polizza di assicurazione di responsabilità civile per danni causati da proprio cane contro terzi. Bisogno infine rammentare che:
– gli animali non possono essere lasciati liberi di circolare negli spazi comuni senza le dovute cautele sopra indicate;
– i proprietari degli animali debbono comportarsi in modo tale da non ledere o nuocere alla quiete e all’igiene degli altri conviventi dello stabile;
– il condominio, in caso di rumori molesti o di odori sgradevoli per i quali è necessario chiedere la cessazione della turbativa per violazione delle norme sulle immissioni intollerabili ex articolo 844 del C.C., può richiedere l’allontanamento dell’animale dall’abitazione in base all’articolo 700 del C. di p.C.;
– nel caso di immissioni rumorose è possibile ipotizzare, purché ne sussistano le condizioni, il reato di “disturbo del riposto delle persone” (articolo 659 del C.C.) (l’elemento essenziale di tale fattispecie di reato è, però, l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l’effettivo disturbo alle stesse);
– gli animali non possono essere abbandonati per lungo tempo sul balcone o nelle abitazioni perché si potrebbe ipotizzare il reato di “omessa custodia” (articolo 672 del C.P.).
L’esigenza dell’espletamento dei bisogni fisiologici dei cani d’affezione e quello dei proprietari dei beni che ne vengono imbrattati vengono a scontrarsi, ancor quando ci si trova all’interno di un condominio.
L’utilizzo delle parti comuni del condominio dovrebbe sempre avvenire nel rispetto della legge e dovrebbe prevalere sempre ed in ogni caso il rispetto altrui ma se questo non avviene, come purtroppo spesso accade, come ci si può tutelare?
Dal punto di vista giuridico generalmente si fa riferimento all’ordinamento comunale ed al codice della strada; il primo, ovviamente, si limita a regolamentare la materia facendo riferimento alle aree pubbliche o ad uso pubblico mentre il secondo all’articolo 15, comma 1 lettera F vieta e sanziona l’imbrattamento della stessa e delle sue pertinenze.
Quando ci si trova sulla proprietà condominiale queste norme ovviamente non trovano applicazione, avendo valenza solo per le parti pubbliche o aperte al pubblico, anche se, talvolta, i giudici le prendono in considerazione anche per le aree private con il fine di valutare i comportamenti oggetto del loro esame ed il regolamento di condominio, come è facilmente comprensibile, è valido ed opponibile solo nei confronti dei condomini o dei loro ospiti per i quali risultano essere responsabili.
Nel caso che i proprietari che permettono ai propri cani di lordare le parti comuni siano dei condomini l’amministratore può inviare delle circolari di richiamo generico a tutti così come, qualora identificati chiaramente, richiamarli a mezzo lettera raccomandata.
Va detto peraltro che in questo caso è indispensabile che vi sia la certezza dell’identificazione e la possibilità di dimostrare inconfutabilmente la responsabilità del condomino; quindi l’amministratore non potrà certo basarsi su una semplice segnalazione ricevuta da parte di un altro condomino che, come molto spesso accade, vuole anche restare anonimo.
Una volta richiamato ufficialmente, qualora il proprietario del cane dovesse persistere nel proprio comportamento incivile è possibile fare ricorso al codice penale che prevede il reato di imbrattamento di cose altrui all’articolo 639 intitolato: Deturpamento e imbrattamento di cose altrui.
Detto articolo recita testualmente: ”Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 103,00 Euro.
Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300,00 a 1.000,00 Euro.
Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000,00 a 3.000,00 Euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000,00 Euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio”.
C’è poi anche l’articolo 635 del codice penale che riguarda il reato più grave di danneggiamento, che compie “chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili” .
Recentemente si è espressa in materia anche la Corte di Cassazione con sentenza nr. 7082 del 2015 con la quale ha stabilito che il comportamento di cui sopra rientra nella fattispecie di imbrattamento, definito come “un’azione che consiste nell’insudiciamento, prodotto con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi modo idoneo, della cosa altrui – essendo irrilevante che l’alterazione sia temporanea o superficiale e che la res possa essere facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario anche con modesta spesa”.
Occorre quindi verificare la presenza del dolo, cioè l’elemento soggettivo così che tale comportamento possa rientrare nella fattispecie appena descritta piuttosto che nella colpa; infatti in questo secondo caso non vi sarebbe il reato di deturpamento e di imbrattamento e questo in quanto se la legge non specifica diversamente, i delitti sono punibili solo per dolo:
Da segnalare come il reato ex articolo 639 del codice penale sia considerato delitto.
Ovviamente la presenza della volontà deve essere verificata caso per caso, pertanto nella sentenza di cui sopra la Suprema Corte ha escluso l’illecito in quanto il proprietario del cane, pur colpevole di malgoverno dell’animale, si era però subito affrettato a versare dell’acqua dalla bottiglietta che aveva con sè.
La Corte nelle proprie conclusioni afferma che “la possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l’animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all’interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi) privi di pertinenze esterne (cortili, giardini, ecc.). Da quanto sopra quindi deriva che si può richiedere, a chi conduce un cane sulla pubblica via, solo un corretto governo di tale inevitabile rischio, ad esempio attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sui comportamenti dell’animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento utilizzando un guinzaglio, come peraltro previsto dalle norme vigenti, o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere, quantomeno nell’immediatezza, dall’azione”.
Difficile quindi, come si può ben capire dalla lettura di quanto sopra esposto, mettere in atto azioni efficaci nei confronti di quei condomini che lasciano che il proprio cane lordi le parti comuni; ancor più, direi quasi impossibile, nei confronti di chi non è neanche condomino e la cui identificazione, ovviamente, risulta impossibile.